Arrivare a toccare il fondale della scenografia per svelare la finzione in cui ha vissuto per tutta la vita, fare un inchino al fedelissimo pubblico che segue da casa e congedarsi con un ormai iconico “Casomai non vi rivedessi… buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!”. Il saluto finale di Truman Burbank si svolge sullo sfondo di una tela di Magritte. Se non ti sei mai accorto di questo riferimento, tela spiego in questo articolo.
La storia di una vita
Ma partiamo dall’inizio. Chi è Truman Burbank? In pochissime parole, si tratta con molta probabilità, della più importante star televisiva della storia, senza però esserne al corrente. Dalla sua nascita, infatti, ogni momento della sua vita è stato trasmesso in diretta mondiale, nell’omonimo The Truman Show. L’impegno nella realizzazione è stato tale da costruire una città intera per non fargli sospettare nulla. Compagni di scuola, amici, fidanzate: da sempre, l’ignaro Truman ha vissuto tra attori che si sono impegnati al massimo per non tradire il gioco.
Un giorno, improvvisamente, un evento apparentemente inspiegabile confonde il protagonista, che inizia finalmente a farsi delle domande: mentre sta camminando per strada, un faro cade dal “cielo” proprio davanti a Truman. Da qui inizia una ricerca di risposte, anzi delle domande giuste da porsi. Le indagini del protagonista lo portano a scoprire la verità e ad ingaggiare una sfida con il regista-demiurgo Christof.
Andare oltre la propria realtà
La commedia surreale messa in scena da Peter Wier sembra prendere di mira i nascenti reality show (il film è del 1998), ma in realtà si avvicina quasi al fantascientifico, andando a toccare anche temi filosofici come le idee di Jean Baudrillard su simulacri e iperreale (idea alla base del franchise di Matrix), il mito della caverna di Platone o addirittura l’autenticità della vita. E in questo senso, l’ultima scena si è da subito impressa nella memoria collettiva come una delle più iconiche e significative del cinema statunitense.
Dopo un lungo viaggio in barca, Truman arriva ai confini del suo mondo, rompendo addirittura il “cielo” con la prua della sua imbarcazione. Finalmente ha la possibilità concreta di toccare il fondale scenico di quel lungo spettacolo che è stata la sua vita, di squarciare il velo di Maya che gli ha coperto gli occhi dalla sua nascita. Tutto questo prima di salire le scale e uscire di scena con una semplicità dirompente.
Ad accrescere il senso di magia di questa scena contribuisce la scenografia realizzata da Dennis Gassner: una scala minimale su un fondale che rappresenta il cielo. La scala stessa non si noterebbe neanche se non fosse per l’ombra che proietta sul fondale. Nell’ideazione della location, sembra che lo scenografo si sia ispirato ad un quadro in particolare di Magritte.
Al chiaro di luna
Architecture au clair de lune è un quadro di Renè Magritte del 1956 in cui il pittore rappresenta un ambiente minimale, spoglio, senza alcuna presenza umana, ma illuminato da una luna piena capace di creare un’illuminazione tanto suggestiva da tendere quasi alla favola.
La luce della luna sembra selettiva, creando ombre sotto l’arco e sulla sfera ma ignorando quasi completamente la scala. Inoltre, il quadro suscita nello spettatore una certa dose di horror vacui, che avvicina l’ambiente rappresentato in quest’opera alle vastissime piazze vuote proprie dello stile metafisico di Giorgio de Chirico, di cui il pittore francese era un grande ammiratore.
Dimmi, che fai, silenziosa luna?
È interessante notare come la luna, elemento ricorrente nelle opere del pittore belga, sia sempre capace di trasportare l’osservatore in atmosfere magiche e sospese. È il caso di quadri come La voix du sang o, sopratutto, I misteri dell’orizzonte
Nel quadro del 1955, vediamo tre lune crescenti che levitano sopra tre teste di uomini, vestiti di nero. Sono la stessa persona, che ci mostra diversi volti di sé, o non lo mostra affatto voltandosi di spalle. Come la luna sopra le loro teste, la quale nasconde un volto che non vedremo mai, anche ogni essere umano porta con sé un mondo segreto e interiore che non mostra facilmente agli altri, un mondo abitato da sogni, sentimenti e paure. Un mondo intuitivo che non emerge alla luce del sole, ma quando la luce della ragione si spegne.
Da sempre in letteratura la luna è stata simbolo di una dimensione irrazionale, quasi a diventare un archetipo della stessa. Basti pensare all’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, in cui Astolfo viene inviato da Dio proprio sulla luna, dove si raccolgono tutte le cose che perdute sulla Terra, per recuperare il senno del suo compagno Orlando, impazzito dopo il tradimento di Angelica. Magritte si pone in continuità proprio con questa simbologia, anche in modo da fornire una chiave di lettura più comprensibile a chi si ritrova davanti ai suoi quadri e aprire una finestra sul significato degli stessi.
L’assurdità della quotidianità
L’inconsistenza della luce non è altro che uno dei numerosi elementi della visione del pittore, il quale, attraverso la creazione di immagini assurde, cerca di visualizzare il mistero della realtà e l’impossibilità di coglierlo. Magritte vede la pittura come un elemento ludico, capace di individuare l’assurdità del nostro mondo, allontanandosi in parte dalla corrente surrealista vera e propria.
La ricerca di senso in un mondo che, specie se analizzato da una prospettiva inusuale, ci risulta assolutamente insensato e incomprensibile è proprio il viaggio che ritrova a compiere il nostro Truman, rivalutando improvvisamente tutta la sua vita sul set. Da questo punto di vista, non solo per la struttura della scala ma anche, e soprattutto, per l’idea di toccare il fondale del cielo, l’intera sequenza finale sembra la messa in moto di una scena che avrebbe potuto tranquillamente immaginare il pittore francese.
In questo caso, dunque, la citazione non si limita a riprodurre sul set una struttura vista in un quadro, ma rafforza il messaggio che il regista vuole trasmettere con il suo film. Ti aspetto alla prossima occasione per portare lo sguardo attraverso lo schermo ed espanderlo oltre la cornice.